Come evitare la catastrofe
La situazione nel caso dell’interpretariato invece è completamente opposta, in quanto desta meraviglia e stupore: “Ma come fate ad ascoltare e parlare allo stesso tempo” oppure “Come ce la fate a ricordarvi un discorso così lungo?”. Spesso dunque mi trovo a dover paragonare noi interpreti a fenomeni da baraccone. Gli spettatori ammirano le imprese a prima vista impareggiabili degli interpreti, noi invece sappiamo, che per la maggior parte, si tratta di tecnica.
Cominciamo dunque dalla sfida più grande.
Problemi tecnici
Mi trovo su un palco davanti a migliaia di persone e siamo in diretta TV. Fuggire era escluso, perché non potevo e non volevo farlo.
Ho deciso dunque di comprendere ciò che stava dicendo, in un modo o in un altro. Mi sono concentrato, ho agguzzato le orecchie, spronato il cervello… e ho cominciato a capirlo.
Solo il giorno seguente, quando traducevo il Dalai Lama in cabina, mi sono reso conto della vera natura del problema. I tecnici del suono non hanno installato sul palco i monitor, i piccoli altoparlanti rivolti verso gli oratori. Anche i gruppi in concerto che suonano con una forte amplificazione hanno sul palco dei monitor, altrimenti i componenti non si sentirebbero fra loro e non potrebbero suonare in accordo.
Discorsi lunghi
“Sorry, too long.” disse il Dalai Lama dopo essersi reso conto che il suo discorso dovrà essere ancora tradotto in sloveno. “Not too long and we’ll manage.” gli dissi e, prima di iniziare, ho gettato uno sguardo sul pubblico, scorgendo un bel po’ di curiosità sui volti dei presenti, che si chiedevano come avrei tradotto un discorso così lungo, se mi ricorderò di tutto e se ce la farò.
Sono stati questi sguardi a spronarmi a metterci tutto l’impegno possibile. Ho dunque riassunto gli otto minuti del Dalai Lama in una traduzione di cinque minuti.
Sangue freddo significa semplicemente: niente panico. Hai dimestichezza con la tecnica, possiedi il sapere, gli altri hanno già dimostrato che è fattibile e il panico non fa altro che bloccare il cervello. Sicurezza di sé e il sangue freddo giocano un importante ruolo nella gestione dello stress.
Scrivi e memorizza. L’aspetto più strettamente tecnico della consecutiva è certamente il modo di prendere le note. E’ chiaro che non si ha tempo per scrivere le frasi, in verità nemmeno le parole, anche nel caso del Dalai Lama che parla molto lentamente.
Si scrivono le parole chiave, i dati più importanti: anni, numeri, date, termini specifici e soprattutto i passaggi. Con l’esperienza ogni interprete s’inventa dei segni personali–che gli fanno risparmiare tantissimo tempo–per le parole più frequenti: mondo/pianeta/globale, tutto/tutti/ciascuno, gente/uomo/persona, tanti/molti, piccolo, grande, fortemente, sviluppo/progresso/crescita, dopo/di seguito/poi ecc.
L’aspetto più tecnico ha degli aspetti molto prosaici, come dire, terra-terra. Mentre prendi nota (io lo faccio sulla gamba) giri i fogli e li lasci penzolare dal ginocchio. Quando il relatore ha finito, prendi i fogli, li rivolti e li leggi sfogliandoli come quando scrivevi. Semplice. Quando hai finito, prendi i fogli che pendono e li ripieghi sotto il bloc notes per metterli definitivamente fuori gioco. Quando, infatti, cominci a prendere nota del seguente pezzo, gli stessi fogli non entreranno più in gioco e non dovrai spendere nemmeno un secondo per trovare l’inizio del passo da tradurre. Un accorgimento banale, ma importantissimo.
Penna. Puoi permetterti di restare senza penna mentre interpreti? Certo che no. Per questo devi averne almeno due. Io preferisco le penne stilografiche, perché scivolano meglio e non macchiano come le biro. Appena ho iniziato a scrivermi le note per il primo segmento del discorso del Dalai Lama, la mia stilo è rimasta a secco. Il suo segretario l’ha notato immediatamente e in un attimo ha tirato fuori da qualche taschino nascosto in quegli abiti tibetani una biro di un Hotel Hilton. Gli ho fatto un cenno dicendo che non c’era alcun problema e ho tirato l’altra penna dalla tasca destra.
La ciliegina sulla torta e l’ultimo trucco
La pronuncia, la dizione è di sicuro un elemento che contribuisce molto all’autoconsapevolezza. All’inizio della mia carriera tendevo a mangiarmi le parole ed avevo un forte accento dialettale. Ho fatto un corso di dizione presso una famosa speaker della radio. La dizione, in verità, non è solo articolazione, una pronuncia chiara delle parole. Il coaching della voce è anche molto importante, respirare col diaframma, usare gli accenti giusti e, soprattutto, utilizzare i toni giusti.
Le tecniche sono il supporto che diventa una seconda natura e fanno risparmiare tanto lavoro al cervello, il quale potrà concentrarsi sugli aspetti più importanti del tuo lavoro in quel dato momento: ascoltare, elaborare, tradurre nei pensieri, memorizzare e, alla fine, produrre: dire.
Ho promesso un ultimo trucco. Eccolo. La certezza di sé è condizionata anche dalle reazioni degli altri. I volti nel pubblico, il modo in cui le persone si siedono, le loro reazioni sono tutti diversi fra loro. E’ molto difficile parlare in modo convincente di fronte a persone che fanno di no con la testa, dagli sguardi imbronciati e che, magari, chiacchierano col vicino. La prima cosa che ti viene da pensare e che non sono soddisfatti di te e che fanno brutti commenti sul tuo lavoro.
Negli anni ho scoperto un trucco che poi alcuni relatori mi hanno confessato di usare. Dunque, non l’ho scoperto io. Mentre osservo il pubblico, cerco gli “assentori”. Cerco quei volti sorridenti, contenti, entusiasti, ma soprattutto che fanno di “sì” con la testa. Almeno io me lo immagino. Saranno contenti perché hanno una buona giornata, perché sono innamorati, ubriachi o hanno fatto un ottimo pranzo e del mio interpretariato non gliene può fregare di meno. Non fa nessuna differenza. Questi volti mi danno la sensazione che stanno facendo il tifo per me, m’immagino che mi stiano dicendo: “Bravo!” e lo confermano con il gesto della testa.
Ciò mi facilita il lavoro in modo incredibile, e perciò cerco i volti che si muovono su e giù e non m’importa se è un segno di approvazione o un sintomo del morbo di Parkinson.